Skin ADV

Ettore Castiglioni: l'etica dell'alpinismo

mar 12 set 2023 11:09 • By: Silvia Metzeltin

In vista dell'ottantesimo anniversario della scomparsa dell'alpinista insignito del titolo di Giusto dell'Umanità Silvia Metzeltin ne ricorda il valore

Nel 2017, il grande alpinista Ettore Castiglioni (1908 - 1944) era stato insignito del titolo onorifico di “Giusto dell’Umanità”, per aver salvato ebrei e perseguitati politici, tra i quali anche Luigi Einaudi che diventerà Presidente della Repubblica.  Nel 2018, a Ruffrè-Mendola in Trentino, luogo di nascita di Castiglioni e a 110 anni dalla nascita stessa, viene promossa da Paolo Vita e Sara Barbacovi una iniziativa storico-culturale, con l’obiettivo di far conoscere la figura di Castiglioni quale esempio di scelte etiche e di passione per la montagna nelle sue diverse valenze. È stata così realizzata una Targa Erratica itinerante, che ha già toccato tappe in un percorso di 3.000 km in Italia, nell’intento di diffondere conoscenza e di creare reti di eventi, che agiscano da volano sociale e culturale anche oltre le cerchie ristrette dell’alpinismo. Il percorso itinerante considera con priorità i luoghi frequentati da Castiglioni e per il 2024, a 80 anni dalla sua tragica scomparsa, è in programma una serie di tappe nella Patagonia e in Argentina. Un richiamo alla ricorrenza è significativo anche per il mondo dell’alpinismo stesso: una opportunità per accompagnare la Targa Erratica in senso ideale con memorie e riflessioni. Per questo mi sono sentita coinvolta e ho accettato volentieri, con piacere e interesse, a riesumare qualcosa dal bagaglio dei miei ricordi.   


Cerco di ricordare - la memoria ricostruisce sempre, non fotocopia. Tuttavia spero di riuscire ad attualizzare correttamente il mio pensiero e di saper rendere a distanza di anni il rapporto - mio e di Gino Buscaini - con la figura di Ettore Castiglioni, che non abbiamo conosciuto di persona e solo per tramite di racconti altrui.

Mi si presenta l’immagine 1962 del nostro arrivo al rifugio Castiglioni sulla Marmolada, bagnati fradici dopo una notte di temporali passata bivaccando nel camino di uscita della “VinatzerCastiglioni”, via sulla parete Sud allora ambita e rinomata per le sue difficoltà. Credo di aver descritto a suo tempo la scena su “Le Alpi Venete”: in piedi sotto la grande fotografia di Castiglioni, lasciando pozzanghere di fango al nostro passaggio, desiderosi, che so, di una bevanda calda. Ma la cucina è chiusa, la sala di cui stavamo insudiciando il pavimento accetta solo dalle 18. Ricordo perfettamente il senso di complicità comprensiva che mi stava trasmettendo la fotografia.  

Negli anni successivi, con molta dedizione nostra al mondo delle Dolomiti, Ettore Castiglioni era poi diventato una figura di riferimento, in particolare dapprima per Gino Buscaini. Nella nostra cordata, nell’alpinismo e in seguito coniugale nella vita, stavamo mettendo in comune anche le nostre diversità individuali che si sono rivelate felicemente complementari. Gino era di grande abilità naturale sulla roccia, ma poco sportivo e detestava l’allenamento. Le molte ascensioni, pensandoci oggi, sono state per lui tappe di un percorso multiforme. Nell’alpinismo ha espresso soprattutto le sue predisposizioni artistiche, nella fotografia ripresa anche in parete e nei disegni. Poiché proveniva da formazione tecnica, specializzata per anni di carriera nell’Aeronautica Militare, aveva inoltre un occhio speciale per cogliere i dettagli, e un rigore responsabile nel valutarli. L’aereo non deve precipitare - l’alpinista che scala, neppure. Le descrizioni degli itinerari sulle montagne devono quindi essere le più precise possibili. E se possibile, verificate sul terreno.

Così, l’incontro di Gino con Ettore Castiglioni non è avvenuto sulle sue vie che abbiamo ripetuto, ma nelle descrizioni che Castiglioni ne faceva. Lo aveva preso a modello, gli piaceva il suo stile stringato senza gli svolazzi letterari che andavano per la maggiore, che allora rendevano spesso un po’ fumose le relazioni pubblicate. Gino le voleva di precisione tecnica, con impostazione rinnovata anche nella valutazione delle difficoltà e, fra le guide di itinerari disponibili in italiano prima della Seconda guerra mondiale, le “Castiglioni” eccellevano. E si capiva che molti degli itinerari descritti erano stati percorsi di persona. Castiglioni, sempre ben allenato, era certo a volte un po’ sommario nel precisare le difficoltà tecniche, operando medie del tipo “Il grado con passi di V” indicando il tutto di IV - ma una nuova valutazione d’insieme delle difficoltà di un’ascensione era ancora da venire, e proprio da queste considerazioni Gino ne ha poi elaborato e applicato le prime versioni nelle proprie guide.

Quando Gino, per combinazioni fortunate, si è occupato professionalmente della collana “Guida dei Monti d’Italia” CAI-TCI, riuscendo a pubblicare 8 volumi suoi e coordinare per trent’anni tutti gli altri volumi usciti, ha però incontrato anche un altro Castiglioni, oltre a quello delle relazioni stampate sui volumi di cui è stato l’autore nell’anteguerra. Quando una passione diventa lavoro, dappertutto emergono ostacoli che non si erano considerati. Riassumiamoli per questo caso in “intralci di burocrazia”: c’erano già ai tempi di Castiglioni. Il quale Castiglioni, per fortuna degli alpinisti e della collana, scavalcò remore e lungaggini nell’ambito del CAI e del TCI presentando volumi già bell’e che pronti, mentre le commissioni dovevano ancora decidere come e cosa pubblicare. Il rimando al colpo di mano coraggioso di Castiglioni, insomma a un piccolo “golpe” di iniziativa realizzatrice, è spesso stato per Gino un appiglio incoraggiante nei momenti in cui sono calate ombre burocratiche sulla collana. Quando Gino ha ripreso dopo trent’anni il rifacimento della guida Castiglioni delle Dolomiti di Brenta per la collana CAI-TCI, con il rinnovamento ormai indispensabile, ha voluto espressamente che il nome di Castiglioni come autore rimanesse accanto al suo.

Ho pensato spesso che, a parte le differenze di estrazione sociale e di formazione, Castiglioni avrebbe desiderato in realtà seguire il lavoro per la collana “Guida dei Monti d’Italia”, quel lavoro che, oltre vent’anni dopo, in altra modalità ha intrapreso Gino. Mi viene tuttavia da supporre che la personalità di Castiglioni avesse sfaccettature diverse da quelle di Gino, certo filosofiche più tormentate, e probabilmente più distanti da vocazione artistica creativa, nonostante gli interessi coltivati nel proprio ambito culturale.  

Il mio approccio alla figura di Castiglioni è stato invece, diciamo così, più in versione romantica, benché tutto sommato si trovi oggi meno sbiadito storicamente. Confesso di essere ormai satura di descrizioni di itinerari, che non consulto più nessuna relazione, che mi domando semplicemente se su un monte che mi piace riesco a individuare un itinerario che mi attira e per me accessibile. Come facevo da ragazzina. Mi rimangono invece “le Castiglioni” che ho salito, magari ricordando anche la sorpresa di qualche passo di V che non mi aspettavo, e tornano presenti i compagni di allora. Siccome però il mio alpinismo spazia in filoni diversi, Ettore Castiglioni mi riappare anche nelle parole che portano la sua firma. L’alpinismo mi ha portato a studiare geologia, e penso di saper cogliere negli itinerari da lui descritti il riflesso dell’aver accompagnato il fratello geologo Bruno Castiglioni in molte esplorazioni. Riconosco dove i diversi modi di considerare le pietre e la costituzione delle montagne si sono intersecati felicemente. Per esempio nelle Pale di San Martino.

Oltre le Alpi, Castiglioni era interessato all’alpinismo extra-europeo e ha pure curato per “Alpinismo Italiano nel Mondo” le prime raccolte di resoconti delle spedizioni italiane. La sua esperienza personale si è credo limitata alla spedizione di Bonacossa nelle Ande Patagoniche, nel gruppo Fitz Roy- Cerro Torre. Ritengo che nel 1937 lui fosse comunque troppo giovane, e di passione alpinistica esclusiva prorompente, per confrontarsi con le implicazioni politiche e sociali di quegli anni, sia in Europa, sia in Argentina. Il Fitz Roy non era stato ancora scalato, Ettore scalpitava, ma i compagni non possedevano la sua esperienza tecnica di alto livello su roccia, necessaria per seguirlo nel tentare l’ascensione. Mi è stato confidato che rimpiangeva di non essersi trovato lì con il grande Bruno Detassis, perché con lui avrebbe potuto portare a casa la prima ascensione di quello splendido monte. Non dimentichiamo però che in quella spedizione venne individuato e raggiunto l’intaglio di cresta da cui è poi partita la conquista sommitale del Fitz Roy quasi vent’anni dopo, intaglio che da allora si chiama “Brecha de los italianos”.

A me, oggi, viene da riflettere su una possibile illazione: Bruno Detassis era socialista - in una cordata alpinistica, questo non c’entrava di certo, ma chissà, forse nel 1937 per partecipare a una spedizione, sì. Castiglioni e Detassis: una cordata nel senso umano del termine. Sulla guida delle Alpi Carniche, ho incontrato la data di una via aperta da loro, che corrisponde alla mia data di nascita. Bella casualità. Non mi sono invece mai addentrata in senso storico-politico nelle vicende per le quali Castiglioni è poi emerso nelle cronache dell’antifascismo. Della sua rischiosa attività di passatore coraggioso attraverso la frontiera tra la Valle D’Aosta e il Canton Vallese, mi sono fatta idee solo personali, che ovviamente valgono per quel che valgono. Collego le sue azioni contro le disposizioni di legge, che potevano costargli la pelle come del resto è successo, non solo a motivazioni umanitarie che da sole non sarebbero state sufficienti, e forse neppure a convinzioni politiche precise, bensì al coraggio di prendere iniziative su responsabilità personale, anteponendo una giustizia morale alle ingiunzioni di regolamenti e decreti, per di più in tempo di guerra. Una rischiosa disobbedienza civile esemplare, per la quale penso che collocarne la memoria tra le azioni de “I giusti dell’umanità” non sia doveroso solo per la Storia e specifico per le vittime della persecuzione degli ebrei: ritengo che riproporla oggi sia doppiamente doveroso in senso molto più esteso, quando considero gli atteggiamenti di “servitù volontaria” dei tempi nostri. Nelle mie peregrinazioni letterarie, ho immaginato Castiglioni in fuga dal carcere di Sion dove gli svizzeri lo avevano rinchiuso, a scalarne le stesse mura di cinta come Farinet, il protagonista libertario del bel romanzo di Ferdinand Ramuz. Nel recupero della propria libertà e del proprio senso di giustizia contrario alla legge, Farinet fugge dal carcere ma va incontro alla morte sui suoi monti. Cosa poi pensasse o meditasse davvero Castiglioni, nelle sue scelte esistenziali, nel suo modo di considerare e sperimentare le tappe della passione alpinistica, non lo so.

Non mi va di giocare a interpretazioni psicologiche intorno agli scomparsi: appartengono al mio mondo culturale anche se non li ho conosciuti da vivi. Il mio tentativo di avvicinarli e di capirli sta nella rispettosa ricerca di possibili convergenze e sintonie, al di là del contesto storico che li ha condizionati. Alcune sintonie, in certo qual modo, con un Ettore Castiglioni le posso intuire. L’insofferenza per imposizioni ritenute ingiuste, il bisogno di autonomia e libertà anche fisica, il gusto di un impegno scelto in diversi campi. La selezione nei rapporti di amicizia. Non escludere il confronto con domande aperte, né con domande che pur già sappiamo senza risposta. Non escludere introspezioni, né verifiche scomode, né tensioni verso una trascendenza spirituale che possono albergare nel panteismo. Decidere con responsabilità personale le priorità da attribuire nella vita, accettando di poter commettere errori e di doverli pagare. Mi piace pensare che siano esistite persone che hanno cercato questi aspetti e valori nell’alpinismo e che tramite l’alpinismo li abbiano praticati. Mi piace pensare a consonanze fuori del tempo. Che sia esistito un personaggio come Ettore Castiglioni in quel mondo di “bellezza inutile” che ho scelto anch’io. Oggi l’alpinismo sta concludendo una sua tappa storica e non sappiamo dove ci condurrà la sua trasformazione. Le personalità significative del passato possono parlarci ancora, ed è bene richiamarne l’importanza quand’anche fossero solo di nicchia; eppure temo che nella stessa nicchia sovente ci sia la tentazione di interpretarle, oltre le ricostruzioni storiche già di per sé lacunose, come allineate secondo tendenze del momento.

Non mi garbano le biografie romanzate di una realtà ipotetica poiché, nel voler salvare il passato pur con le migliori intenzioni, applichiamo i nostri criteri attuali: non sapremo mai immedesimarci davvero nel contesto anche ideologico dei periodi che non abbiamo vissuto. Non mi garbano perché mi sembra che si commettano ingiustizie alla memoria, un peccato che si aggiunge a quello di una probabile incomprensione patita in vita. Possiamo solo salvare il rispetto. Non vedo il senso, per esempio, nel nostro mondo alpinistico, di voler confrontare un Castiglioni con un Preuss, o considerare le sue scalate secondo le regole sportive dell’arrampicata attuale. Anzi, proprio pensando a Ettore Castiglioni, a quello che sappiamo del suo alpinismo di ricerca personale e delle sue scelte, mi sembra che sarebbe più consono ricordarlo non applicando più il termine “etica” a regole sportive sulle chiodature in parete, bensì limitando il termine “etica” al comportamento morale praticato nei riguardi del prossimo, e non all’osservanza di regolamenti. Che anche nell’espressione gergale si chiarisca la differenza di significato e di valore tra i rischi di caduta in parete, accettati o meno, e i rischi impliciti nelle scelte che meritano di essere definite etiche. Non solo in montagna. Utile per chiarire anche l’astrazione del concetto di “rispetto per la montagna” tanto in voga mediatica, quando di rispetto ne abbiamo ben poco per il prossimo vivente e forse neppure in futuro per la sua memoria.



Riproduzione riservata ©

indietro