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Ripensare la Chiesa e il modo di credere

dom 14 gen 2024 08:01 • Dalla redazione

Il problema più urgente oggi è la costruzione di una parrocchia che sappia indicare come vivere la fede, che non sia semplicemente una struttura che organizza eventi religiosi

È da qualche decennio ormai che la Chiesa nei Paesi occidentali vive una crisi profonda, che richiede di individuare nuove strade da percorrere. E a riflettere su questo tema non deve essere soltanto la Chiesa gerarchica, vale a dire vescovi e preti, ma anche i singoli fedeli e le comunità.

Si tratta di chiedersi cosa significhi oggi credere, che liturgia continuare a celebrare e come celebrarla. È infatti sotto gli occhi di tutti il fatto che c’è una specie di allergia che allontana dalla Messa domenicale e, qualcuno dice, da celebrazioni che non piacciono più, perché incapaci di trasmettere emozioni, di indirizzare a Gesù. Il Sinodo dovrà necessariamente interrogarsi su un futuro senza preti, o quasi.

In Val di Sole l’ultima ordinazione sacerdotale risale a dieci anni fa e quella precedente al 1977, cioè a quasi 47 anni fa. Ancora peggiore è la situazione se si guarda ai frati e alle suore. Il convento dei francescani di Cles è chiuso ormai da qualche anno e ci si chiede fino a quando resterà aperto quello di Terzolas. L’età media dei preti in Trentino è di 72 anni e intanto le vocazioni continuano a scarseggiare.

Tutto questo invita a pensare a profondi cambiamenti nelle comunità cristiane, a porsi domande fino ad oggi inusitate.

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Ad esempio si dovrà cercare una risposta seria sul ruolo dei laici, ai quali finora sono state riservate funzioni assolutamente secondarie e dopo il parere favorevole dei vescovi. Ne è nata una chiesa di ascoltatori-spettatori da una parte e di attori dall’altra. Si è quasi cancellato, o comunque lasciato molto sullo sfondo, il sacerdozio comune a tutti, che nasce dall’essere battezzati.

Fino ad oggi, ma probabilmente in molte circostanze è ancora così, prima decidono i vescovi e poi, secondariamente, si chiede il parere dei laici. Occorrerebbe imparare a decidere insieme. Vale per tutti l’antico detto medievale in base al quale «tutto ciò che interessa tutti, da parte di tutti deve essere deciso». Si pensi al tema di attualità che interessa la chiesa trentina (ma non solo) che riguarda l’accorpamento o la fusione delle parrocchie. Sembra infatti non abbia più senso, o comunque sia difficile continuare come si è sempre fatto, mantenendo un numero di parrocchie sproporzionato rispetto alle attuali esigenze e possibilità. Mancano parroci e calano rapidamente anche i praticanti. Gli stessi sacramenti risentono della debolezza della fede e sono in una crisi in qualche caso preoccupante.

A me pare che il problema più urgente oggi sia la costruzione di una parrocchia che sappia indicare come vivere la fede, che non sia semplicemente una struttura che organizza eventi religiosi. Quando mi incontro con i genitori dei bambini della catechesi o con qualche organismo parrocchiale la preoccupazione di tutti è arrivare a decidere cosa fare. E quasi sempre quel fare è la ripetizione del passato, perché l’unica motivazione che si porta è «si è sempre fatto così».

In molte parrocchie si sono tolte le processioni del giorno della sagra, creando malumori, ma suscitando anche qualche riflessione positiva. Troppo spesso preghiamo che Dio risolva i nostri problemi. Lo abbiamo insegnato ai fanciulli, che anche prima di pranzo ringraziano Dio del cibo e pregano perché «ne dia a chi non ne ha».  Forse sarebbe meglio pregare perché susciti in me la sensibilità, l’impegno e la fantasia perché sappia condividere il pane con chi è senza.

Ecco allora che le parrocchie dovrebbero riunire quei fedeli che sono “innamorati” di Cristo e che vogliono tradurre il suo messaggio nella società, nella storia. Cristo si è fatto uomo, e deve essere l’uomo concreto, che conosciamo, con nome e cognome, l’uomo che sappiamo nel bisogno a smuovere la nostra fede, a ridonargli dignità. Con papa Francesco possiamo camminare verso il futuro di Dio. 



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