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Chiedere perdono o perdonare?

dom 12 mag 2024 09:05 • By: Renato Pellegrini

Una riflessione sulla confessione, o meglio la riconclliazione

La mia esperienza di prete mi dice piuttosto chiaramente che se c’è un sacramento detestato da moltissimi cristiani, questo è la confessione, visto e sperimentato troppo spesso come una specie di tribunale dell’inquisizione dove dovevi raccontare al prete le tue malefatte per essere perdonati.

I bambini, magari, per non ripetere lo stesso elenco tutte le volte, si inventavano qualcosa. Fondamentale era non scordarsi niente; eventualmente dovevi tornare in confessionale. Ma il sacramento della confessione (dopo la riforma, però, è meglio chiamarlo della riconciliazione) è comprendere che nella vita trascorsa non tutto è andato benissimo e dunque è importante mettersi in sintonia con quella di Dio, che nei Vangeli mai appare come uno che castiga o che rimprovera. Dio piuttosto ci dona qualcosa in più della sua vita. Però, pensiamo, dovremmo almeno chiedergli perdono.

Nella storia dell’umanità, infatti, ci sono eventi tragici che lasciano i credenti sgomenti, incapaci di trovare risposte, e in alcune persone le certezze sembrano vacillare. Lo stesso può accadere in forma più attenuata, nella vita dei singoli. Qui il Dio di Gesù scandalizza! È lo scandalo del perdono concesso sempre a tutti, quello del Cristo che sulla croce chiede al Padre di perdonare perfino chi lo ha crocifisso (Lc 23,34).

Il punto centrale della riconciliazione non è affatto l’elenco dei peccati, che posso tranquillamente non fare, ma l’ascolto della parola del Signore. Il Concilio di Trento asserisce che tutti i singoli peccati mortali vanno denunciati, senza tralasciarne alcuno, che vanno specificate le circostanze ecc. Ci si trova non in un confessionale, ma appunto in tribunale. Ed è quanto di più lontano può esserci dal Vangelo: quando noi ci rivolgiamo al Signore, dobbiamo sapere che a lui non interessa l’elenco dettagliato delle nostre malefatte.

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Lui le sa sicuramente meglio di noi, perché conosce il nostro cuore e certe cose che noi crediamo negative, ai suoi occhi non lo sono. Sono invece ritenute tali dalla teologia o dalla morale di molti anni fa.

È bello il suggerimento che più volte ha dato il cardinale Carlo Maria Martini. Egli invita a celebrare la confessione dividendola in tre momenti.

Anzitutto la confessio laudis, cioè confessione di lode. L’invito è a iniziare il sacramento della riconciliazione dicendo non: «ho peccato», ma invece: «Signore, ti ringrazio». Si tratta di esprimere davanti a Dio i fatti per cui gli sono grato. È probabile che noi abbiamo poca stima di noi stessi e in tal caso non vediamo il bene che compiamo. Perché non ricordarlo a noi stessi e alla chiesa proprio all’inizio del sacramento? Una certa tradizione della Chiesa ce lo ha fatto dimenticare! Perché non mettersi davanti a Dio dicendo, ad esempio: «Ti ringrazio, perché mi hai riconciliato con una persona con cui mi trovavo male; ti ringrazio perché mi hai fatto capire cosa devo fare, perché mi hai dato la salute...» Bastano una o due cose per esprimere il nostro grazie.

Il secondo momento, dice Martini, lo possiamo chiamare confessio vitae, cioè confessione della vita. Non si tratta di fare l’elenco dei peccati: è stato sempre il concilio di Trento a suggerirlo e poi lo ha rinforzato una certa voglia di dominio sulle coscienze. Non è meglio «andare alla radice di ciò che vorrei che non fosse». Si può pregare, ad esempio, così: «Signore, sento in me delle antipatie invincibili, che poi sono causa di malumore, di maldicenze… Vorrei essere guarito da questo. Signore, sento che mi sono allontanato dalla preghiera, non so ascoltare… Vorrei essere guarito da questo». Risentimenti, amarezze, tensioni… mettiamo tutto davanti a Dio dicendo: «Guarda, sono peccatore. Tu solo mi puoi salvare. Tu solo mi togli i peccati». Il sacerdote, in nome di Dio, può rassicurarti: «Vai in pace, Dio ti ha perdonato». E anche la Chiesa, anche i fratelli ti hanno perdonato.

E infine c’è la terza parte che Martini chiama confessio fidei, cioè confessione della fede. Martini qui è davvero profetico: «Non serve a molto fare uno sforzo nostro... E allora basta dire: Signore, so che sono fragile, so che sono debole, so che posso continuamente cadere, ma, per la tua misericordia, cura la mia fragilità, custodisci la mia debolezza, dammi da vedere quali sono i propositi che devo fare…» Solo così possiamo arrivare a dire di aver fatto l’esperienza di un incontro col Signore.

A questo punto mi pare giusto dire che la confessione è stata istituita dalla Chiesa per motivi storici che poco hanno a che fare con il Vangelo e forse anche con la psicologia umana. Il Concilio di Trento, secondo i maligni, fece del sacerdote un mediatore tra Dio e l’uomo, mediazione che Gesù aveva abolito. Varrebbe la pena pensare che Gesù non era neanche sacerdote…

La confessione deve riguardare le offese fatte ai fratelli e non a Dio che non si offende, perché il peccato è fare del male, mettersi contro i fratelli.  Ai fratelli bisogna chiedere perdono, dice Alberto Maggi, non a Dio se non indirettamente perché facendo il male ai fratelli si offende Dio.

 



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