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Francesco

La riflessione domenicale dedicata al pontificato di Jorge Mario Bergoglio

Francesco

Ho impresso nella mente la “straordinaria normalità” di quel 13 marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio fu proclamato papa, o come disse lui, “vescovo di Roma”, venuto “quasi dalla fine del mondo”. Con la veste talare bianca, con una semplice croce, quella che portava sempre, indicò subito quale sarebbe stato il suo stile pastorale.

Era un periodo non facile per la Chiesa tormentata dagli scandali finanziari, e il nuovo pontefice scelse un nome che nessuno prima aveva mai scelto. Pensò dapprima a Giovanni XXIV, il papa buono che aveva aperto il Concilio Vaticano II. Ma un vescovo brasiliano, che sedeva accanto a lui nel conclave, durante lo spoglio delle schede, quando ormai stava per raggiungere i voti sufficienti per essere eletto, gli disse: ricordati dei poveri.

In quel momento pensò a Francesco d’Assisi e ne assunse il nome: Francesco divenne il papa che voleva essere fratello di tutti senza nessuna superiorità. Per questo in quella prima sera, salutando la folla festante che riempiva la piazza, s’inchinò e chiese umilmente al popolo di invocare su di lui la benedizione.

E quasi alla fine dei suoi giorni si fece vedere in San Pietro come un vecchio uscito da un ricovero, con una coperta, i pantaloni neri e una maglietta bianca, senza croce pettorale e abiti pontifici. Ancora una volta il suo messaggio era chiaro: «Sono uno come voi, un fratello che è malato, debole…».

Incontrava ogni tipo di persona, telefonava e rispondeva alle lettere. Per i senza fissa dimora che sostavano in San Pietro o nelle vicinanze della piazza fece mettere a disposizione docce e medicine gratuite. Una particolare attenzione l’ha sempre riservata ai carcerati. Anche per i bambini nutriva un particolare affetto. Per sconfiggere gli abusi sessuali, di cui talvolta erano vittime da parte del clero o di qualche responsabile della chiesa, adottò una serie di misure molto severe.

 

Ricordiamo la sua frase alla fine di ogni incontro: «E non dimenticatevi di pregare per me». Francesco era un uomo di preghiera con un compito faticoso nella chiesa chiamata ad essere un ospedale da campo. Voleva una chiesa capace di accogliere e abbracciare tutti, che non giudicasse, ma incoraggiasse e vivesse la misericordia.

«Chi sono io per giudicare?» aveva risposto a una domanda sulle persone omosessuali. Dio va incontro a ciascuno in modo diverso, non ha creato nessuno per condannarlo o per renderlo schiavo di una legge. «La Legge non è un codice al quale sottomettersi, ma ciò che rende possibile l’apertura della vita alla pienezza della vita. Dio non è nei cieli, ma nel lebbroso che nessuno tocca, nel nemico come figura estrema di una alterità che non è mai a nostra disposizione» (Massimo Recalcati). 

Chiedeva la preghiera anche per il mondo; lo ricordiamo solo, sotto la pioggia, nella piazza di San Pietro vuota a invocare la misericordia di Dio per l’umanità malata. E non dimenticheremo le sue parole per un mondo che sta vivendo «la terza guerra mondiale a pezzi». Le grandi potenze pensano con sempre più frequenza e sempre più convintamente che i problemi si risolvono con la guerra; torna la corsa al riarmo. Ogni stato in Europa e dappertutto è invitato ad aumentare le spese per gli armamenti da vendere poi ai Paesi più poveri. «Questo riarmo, che molti vorrebbero giustificare con ragioni di difesa, risponde a una inconfessabile sete di potere che non può non essere sete di sangue. Quel che avviene a Gaza non è solo la vergogna di Israele, ma di chi in Occidente fornisce le armi e appoggia la guerra di Israele contro quel popolo di palestinesi, ridotti a straccioni senza più patria, senza cibo, senza più diritti riconosciuti» (Enzo Bianchi, Il Fatto quotidiano, 23 aprile 2025).

Ora quel popolo è più solo, circondato solo dal silenzio, perché nemmeno nella Chiesa cattolica ci sono altre voci, limpide, forti e chiare come quella di Francesco. E chi alzerà la voce per difendere l’Ucraina invasa e massacrata?

Di Francesco ricorderemo anche la sua tenacia per potenziare il ruolo delle donne negli organismi ecclesiali. È vero che ha mantenuto una decisa opposizione nei confronti dell’ordinazione delle donne. Forse perché una tale riforma avrebbe lacerato pericolosamente l’unità della chiesa, ma forse perché altre riforme erano praticabili senza essere meno incisive. «Basta pensare all’inserimento di figure femminili sia nel governo centrale della Chiesa, in Vaticano, nelle diocesi e nelle parrocchie, come ha auspicato il recente Sinodo. Se finora il governo della Chiesa cattolica era esercitato solo da chierici, Francesco ha cominciato a incrinare quella saldatura tra clericalismo e potere di cui ha sempre denunciato i pericoli» (Marinella Perroni).

Tanto ancora si potrebbe ricordare di Francesco, anche quell’ultima scelta di essere sepolto a Santa Maria, nella terra, senza monumenti, con una lapide che porti solo il suo nome: Francesco. È stato un papa che ho amato per il suo coraggio e la sua schiettezza. È stato per me una guida che mi ha condotto su strade sicure, che mi ha spinto a ricercare, che mi ha fatto capire che ogni soluzione non è immediata: va tenacemente perseguita. Che farà la Chiesa senza Francesco? Continuerà a mettere al centro la persona? Capirà che non c’è altra legge al di fuori dell’amore e che si deve amare senza calcoli? Capiremo noi cristiani, che ascoltare Gesù e vivere la sua parola è l’unico modo per cominciare a costruire una nuova umanità, che nel Vangelo è chiamata Regno di Dio?

 

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