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Storia, maestra di vita?

dom 11 lug 2021 11:07 • Dalla redazione

Il ricordo di Angelo del Boca, pioniere degli studi sul colonialismo italiano

VALLI DEL NOCE. Angelo del Boca è uno storico che ha svelato il lato oscuro del colonialismo italiano. Ha fatto crollare i pregiudizi, ha messo a nudo una verità rifuggita molti. Al detto «Italiani, brava gente» ha osato mettere un punto di domanda. E quell’interrogativo soggiace a una ricerca storica che ha dimostrato che il nostro colonialismo non era poi così diverso da tutti gli altri.

Morto il 6 luglio nella sua casa torinese, di lui ricorderemo la volontà e la tenacia con cui ha cercato quella verità, spesso nascosta, che rivela il volto tragico della guerra degli Italiani in Africa. Era nato nel maggio del 1925; ha diretto la rivista: «I sentieri della ricerca» e fu inviato e caporedattore della Gazzetta del popolo. S’accorse ben presto che in Italia le vicende coloniali erano totalmente dimenticate, anzi erano avvolte in un alone romantico atto a coprirne gli orrori. Negli archivi scoprì le prove segrete, oppure occultate, delle stragi compiute dalle forze armate Italiane in Etiopia durante la guerra di conquista e l’occupazione. Trovò i telegrammi inviati da Mussolini a Badolio e Graziani, in cui il duce autorizzava l’impiego dei gas (proibiti dalla convenzione di Ginevra) contro gli etiopi, civili compresi.

Elektrodemo

Portò a conoscenza delle stragi compiute nel febbraio del 1937, dopo la conquista di Addis Abeba. Stragi per le quali l’ordine partiva direttamente dal viceré Rodolfo Graziani, che voleva vendetta per un attentato in cui era stato ferito.

Scrisse Del Boca: «Alcune migliaia d’italiani, civili e militari, davano inizio alla più furiosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto». In tre giorni di inferno massacrarono e violentarono 30.000 etiopi. E rimasero impuniti. Al riguardo, nel 1995 scoppiò una forte polemica con Indro Montanelli, principale sostenitore della mitezza del colonialismo italiano, che negava l’impiego di armi chimiche della regia aviazione italiana in Etiopia. Ma l’anno seguente Montanelli dovette scusarsi con Del Boca, che provò l’uso delle armi proibite. Ancora, con il piglio dello storico che cerca la verità e non si arrende, Angelo del Boca scrisse un’opera, che conserva ancora il suo valore, sugli Italiani in Libia, svelando le deportazioni subite dai libici nei campi di concentramento e la spietata repressione dei ribelli. Sicuramente il suo contributo allo studio del colonialismo italiano è il risultato più pregiato da lui ottenuto.

Ho letto non molto tempo fa il suo libro: «Italiani, brava gente?» (Neri Pozza, 2005) dove crolla quella favola che, forse, cerca di difendere ipocritamente dalle responsabilità individuali e collettive. La responsabilità delle violenze sta nel comportamento di uomini comuni, «che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione, o perché persuasi di essere nel giusto». Del Boca conosce anche lo spirito buono che spesso anima gli Italiani. Non vuol dipingere un paese senza speranza e senza futuro, perché senza ideali. Infatti nel sopraccitato libro ricorda «il comportamento squisitamente professionale tenuto dai contingenti di truppe italiane» inviati in Libano, Bosnia, Albania, Kossovo… negli ultimi vent’anni. E ricorda ancora «quell’esercito di quattro milioni di volontari che ogni giorno, in silenzio, quasi in segreto, scende nelle strade d’Italia e del mondo per combattere la sofferenza nei suoi mille aspetti. Un paese che possiede una tale risorsa, che molti ci invidiano, non può soggiacere a lungo nel malessere, non può imboccare la via del declino». Quello che racconta questo insigne storico non è per umiliare l’Italia, ma semmai per raccomandare che nulla va nascosto, che la guerra è sempre fonte di atrocità, e che nel cuore di tanta gente, italiani e non, alberga la bontà e la voglia di giustizia.

 



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