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G’è Madòna e Madòna

mer 05 ago 2020 16:08 • By: Laura Abram

Suocera, Madonna o mia signora: come si dice in dialetto

 

Lo spunto per riflettere sulla parola di oggi mi è stato dato mentre ero al lavoro, qualche mese fa. Al suono della campanella, sono entrata in classe e ho salutato la mia collega che stava uscendo. Ho notato nel registro un santino con raffigurata l’immagine di Maria con Gesù in braccio. Prima che la mi collega chiudesse la porta ho spontaneamente chiesto: “Ela tóa sta Madòna?” e lei, ancora prima di voltarsi per guardare cosa tenessi in mano, ha risposto: “No pensi propi no; mi de madòna gi n’evi una, ma la è morta”. Dopo un secondo di perplessità, ho immediatamente capito che non stavamo parlando della stessa madòna e mi è tornato in mente che in dialetto la suocera si chiama proprio madòna, anche se ormai si sente molto più spesso dire “me suocera”. L’origine di questo termine è abbastanza trasparente, deriva dal latino mea domina nel significato rispettoso di “mia signora”. Sono innumerevoli i contesti in cui questo termine è stato utilizzato, soprattutto in letteratura, per omaggiare delle nobildonne o comunque delle donne ritenute importanti e meritevoli di grande rispetto. Basti pensare alle poesie provenzali, a madonna Laura cantata da Petrarca, a madonna Beatrice amata da Dante o alla monna (abbreviazione di madonna) Lisa di Leonardo.

“Madonna” era infatti un titolo molto diffuso nel Basso Medioevo, che veniva frequentemente anteposto al nome di donne di alto rango. È quindi chiaro che la Vergine Maria, in qualità di donna più importante della religione cristiana, abbia acquisito di diritto questo titolo e, conseguentemente, anche il nome di Madonna per antonomasia. Curioso è che, nel dialetto noneso, anche la suocera e il suocero assurgano a questo livello di importanza da meritare il nome di madòna (= mia signora) e misièr/misèr (= mio signore), anziché adottare il latino socerum, già d’origine indoeuropea. Come anticipato prima, tuttavia, questi due termini stanno cadendo in disuso, lasciando il posto ai più frequenti “suocero” e “suocera”.

A questo proposito, una definizione che mi piace sempre molto quando si parla di dialetto è quella fornita dal linguista Prosdocimi, il quale sostiene che: “all’interno della dialettalità la perdita va commisurata con l’acquisto per riconoscere la nuova realtà, la dinamica del farsi delle nuove realtà”. Ed è proprio in questo senso che a me piace ragionare sul dialetto, non semplicemente fermandomi a constatare che anch’esso, come tutte le lingue vive, perde e acquista nuova terminologia, ma cercando di approfondire i motivi alla base di questi cambiamenti. In questo caso specifico, l’evoluzione dei rapporti sociali e il progressivo abbandono delle rigide gerarchie familiari ha probabilmente fatto sì che si perdesse il timore reverenziale nei confronti dei suoceri, ai quali un tempo si dava del voi, in favore di un rispetto meno subalterno. E visto che la lingua riflette i cambiamenti della società, potremmo aver progressivamente e inconsciamente abbandonato il “voi” in favore del “lei” o addirittura del “tu” e, di pari passo, anche l’appellativo madòna “mia signora” in favore del più neutro suocera. È meraviglioso poter osservare la crescita e l’evoluzione della nostra realtà attraverso delle semplici modificazioni linguistiche.  



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